25 novembre: una data commemorativa da rendere propositiva e militante
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25 novembre: una data commemorativa da rendere propositiva e militante

Iniziamo dal titolo della ricorrenza: Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Nel 1999 l’ONU diede una descrizione di obiettivi alla giornata, ma non connotò la natura maschile e patriarcale della violenza sulle donne. Più avanti, la violenza maschile viene definita “violenza di genere” e “violenza sulle donne”, continuando a non indicare gli autori e i responsabili della violenza. Così, si è andata attenuando la riluttanza a utilizzare la parola femminicidio, anche se manca ancora lo statuto giuridico di questo reato. Esiste il reato di omicidio volontario aggravato dal rapporto di parentela o convivenza con la vittima di sesso maschile, ma la denominazione femminicidio (uccisione voluta o preterintenzionale di una donna in quanto tale) non compare nel codice penale nella definizione specifica di omicidio di donne in quanto donne.

La strage delle donne in Italia mantiene i numeri invariati negli anni, in controtendenza con la diminuzione degli omicidi generici (ndr. ed oggi tutte sappiamo che sono più di 102 in questo 2023 non ancora concluso). Ciononostante, femminicidio sembra ancora una brutta parola, inelegante, troppo violenta, tanto da essere ancora edulcorata classificandola come “omicidio passionale“. Nella percezione sociale la pulsione omicida si correla ancora all’amore disperato, al troppo amore, ed è velatamente giustificata dall’inconscio comune. Nei media spesso l’omicidio viene scambiato con tragedia, e la parola assassinio con “morte”.immaginefemminicidio

Nei tribunali si assiste alle ambiguità delle interpretazioni del delitto, spesso giocate in chiave apertamente difensiva dell’accusato. L’opacità generica del linguaggio rappresenta la forma strisciante di resistenza al riconoscimento e alla valorizzazione della differenza sessuale, il disconoscimento latente della lotta femminista. Così si nasconde la portata profondamente politica e sociale della violenza maschile sulle donne e la sua natura patriarcale che sussiste come legge mentale interiorizzata e agita nonostante le consapevolezze critiche della contemporaneità. L’abitudine culturale a considerare la donna un soggetto disponibile e controllabile condiziona la disapprovazione sociale e mantiene aperti margini di equivocità sulla natura della violenza maschile.

Il potenziamento delle pene, orientamento in continua espansione, conferma l’intento a categorizzare l’uomo violento come soggetto emotivamente sregolato e il suo comportamento stigmatizzato come semplice trasgressione personale. Ma la cronaca di questi giorni evidenzia quanto questo assunto sia lontano dalla realtà. Dobbiamo contrastare le operazioni elusive, dobbiamo operare sul linguaggio pubblico: sono due compiti radicali da assumere per strutturare una diversa idea di umanità, di convivenza, di efficacia dell’autorità femminile.

Condivido l’appello di Chiara Valerio a “nominare da oggi solo le vittime” trascurando le sorti del carnefice, e per rendere autentico questo impegno invito a una militanza contro la violenza che renda esplicita la sua natura, che liberi da aporie e riduzionismi le stesse nostre campagne contro la violenza. Abbiamo bisogno di una nuova stagione di relazioni femministe con i Centri Antiviolenza per recuperare attraverso una alleanza politica l’originaria matrice fondativa che trasformi i Centri Antiviolenza (poco finanziati dallo Stato e debolmente inseriti in Reti operative contro la violenza). Si tratta di recuperare il valore simbolico e ideale delle pratiche femministe maturate nei Centri per identificare questi ultimi, con maggiore determinazione, come luoghi di donne e spazi politici, non solo sanitari. Ci sono nuovi passaggi politici e culturali da intraprendere, saldando maggiormente la relazione fra Centri Antiviolenza, luoghi di formazione femministi e Associazioni Femministe politiche per essere soggetti decisivi in materia di contrasto alla violenza maschile, e per negoziare con le Istituzioni interventi più strutturati e sistemici, sostenuti dallo Stato.

Giovanna Piaia, presidente Fondazione Scuola di Alta Formazione Donne di Governo




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