DDL Zan "Un intervento di civiltà atteso da tanti anni"?

DDL Zan "Un intervento di civiltà atteso da tanti anni"?

Quanti sono gli interventi di civiltà attesi da tanti anni? E come si potrebbero definire gli interventi di civiltà? E quante sono le leggi attese, magari in forma di Disegno di Legge, che giacciono in parlamento da tempo immemorabile?

In un sistema governativo che sta sempre più dimostrando uno scollamento dalla vita reale ci aspetteremmo almeno una gerarchia nel calendario delle priorità dei provvedimenti attesi da anni. Ma è anche vero che, nella fattispecie degli “interventi di civiltà”, la priorità non può essere definita con criteri oggettivi: la sofferenza è difficile da quantificare, dipendendo dal valore che riveste nella sensibilità, nella cultura, oltre che nella carne dei vari soggetti. E allora in che modo può arrivare ai decisori politici la voce del disagio? E in una società ideale, quali i criteri per una altrettanto ideale “scala del dolore” in base a cui un saggio governo dovrebbe stabilire una lista di priorità su cui legiferare? L'elevato tasso di popolazione esposta a povertà, la costante violazione di diritti, ecc.?

Posto che siamo favorevoli a tutte le battaglie di civiltà e di libertà, allo stesso modo sentiamo il dovere di discutere liberamente quanto accade nel nostro paese, nel nostro parlamento. E come donne, di farlo con le parole e gli strumenti della differenza. Guardando alla inarrestabile marcia forzata dell'iter del DDL Zan, già prima e soprattutto durante i mesi più tragici del paese, in cui la pandemia ci ha messo tragicamente a contatto con le inefficienze della organizzazione sanitaria, questo provvedimento ha superato ogni ostacolo per giungere alla approvazione alla Camera dei Deputati in tempi rapidissimi. Non siamo contrari ai diritti delle minoranze, anzi. Se queste minoranze sono state così decisive e decise, al punto di superare tutte le “fisiologiche” barriere che di solito si frappongono tra la civiltà e la barbarie, non possiamo che apprezzarne la determinazione e magari cercare di emularne le strategie di successo.

Ma un interrogativo si pone a chi da tempo aspetta altri interventi di civiltà: come e perché questo DDL ha avuto, e da subito, un così compatto consenso nel paese, e una tale indifferibilità in parlamento? Questo certo non per contrapporre sfere di popolazione in difficoltà né per sottovalutare o limitare l'altrui disagio. Per capire invece quali siano i processi emotivi che permettono ai tanti sostenitori di tutte le leggi di civiltà di sostenerne così pervicacemente solo alcune, in questo caso una in particolare. Per indagare se la indignazione generale per la sofferenza di alcune minoranze, tra cui maldestramente si sono volute includere anche le donne (notoriamente più della maggioranza ma considerate minoranza, ancora e sempre da tutelare per legge) sia veramente la cifra di una diffusa sensibilità, almeno pari a tutte le altre condizioni di inciviltà. O se, viceversa, questo sia per certi aspetti un capitolo a se stante. Avulso, e certamente non empatico con ambiti in cui la dignità, il rispetto delle scelte personali, la violazione di diritti umani siano allo stesso modo minacciati. Pensiamo per esempio alle condizioni della nascita, e alla possibilità di scegliere luoghi e modi del parto (condizioni che la pandemia ha drammaticamente portato a decenni indietro, condannando, oltre che a morire da soli, anche le donne a partorire, come 40 anni fa, senza un familiare vicino). Esistono anche su questi temi almeno due DDL giacenti da più di 25 anni in parlamento: è possibile che le condizioni della nascita siano così assenti dall'agenda di legislatori-e legislatrici-così altrimenti sensibili? Che nessuna delle tante donne parlamentari sia stata allo stesso modo attraversata da empatia per come la maggioranza delle donne vive la maternità? Pensiamo per esempio a miglioramenti delle leggi sulle adozioni, che solo raramente, e a discrezione di magistrate/i pietose/i, permettono di dare subito in adozione neonati altrimenti sballottati tra istituti e famiglie affidatarie: non abbiamo mai sentito clamore di battaglie su questi temi nelle aule parlamentari. Nessun richiamo a leggi di civiltà. Eppure abbiamo frequentato, e ne frequentiamo da anni, aule, audizioni, commissioni: anticamere infinite ed infruttuose in cui abbiamo portato il disagio non di minoranze, ma di più della metà del paese sulle condizioni del mettere al mondo. Che non è riducibile, come recita il mainstream, solo a strumenti di “conciliazione” famiglia lavoro. Il lavoro retribuito purtroppo non identifica tutte le donne: più della metà nel paese, soprattutto al sud, è esclusa dal mercato del lavoro (Sabbadini). Mentre le condizioni della nascita sono comuni a tutte, e rese ancora più pesanti dalla pandemia.

Ma ancora: è possibile che la annosa battaglia per condizioni di civiltà nell'iter dell'aborto farmacologico abbia avuto il doveroso aggiornamento che da anni aspettavamo solo grazie allo zelante scivolone della Presidente della Regione Umbria Tesei, portando così le proteste dei movimenti femminili direttamente all'attenzione del ministro Speranza? Strano paese quello in cui il parlamento è così lontano dalle vite dei cittadini e cittadine che rappresenta. Ma ancora più strana appare l'afasia e la lontananza delle parlamentari dalla condizione che più le accomuna a tutte le donne che rappresentano: la possibilità di procreare. Da tempo sentiamo e leggiamo continuamente della auspicabile presenza delle donne ovunque, dalla “leardeship” al governo del paese, a gli appelli a favorirne il protagonismo. Crediamo fermamente che insieme potremo cambiare il mondo, e in qualche parte le donne lo hanno già fatto. Ma nella nostra attuale rappresentanza politica femminile (e nella efficace modalità di formazione e reclutamento) manca ancora, per vincere finalmente la loro “battaglia di civiltà”, la ricerca e il riconoscimento della propria differenza anche nella capacità di procreare.

Sandra Morano, ginecologa dell'Università di Genova. Responsabile dell'Area formazione femminile dell'ANAAO. Coordinatrice dell'Accademia “Le mediche” della Scuola Alta Formazione Donne di Governo




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