Ecco un nuovo appuntamento con la rubrica di approfondimenti sull'arte "La nostra pinacoteca" a cura di Francesca Mellone che vuole rivelare il contributo di alcune artiste nella storia dell'arte e dell'immaginario estetico.
La nostra pinacoteca. Il sorriso di “Monna Lani”
Maria Lani (Czestochowa 1895 - Parigi 1954)
“Maria Lani! Maria Lani! Maria Lani!”
il grido ripetuto infinite volte per tutta la notte dal marionettista isterico,
simile a sirene in un distretto industriale". (Giorgio De Chirico, Diario di un Poeta)
Non parlerò, oggi, come di consueto, di una pittrice, ma di un geniale raggiro, attuato in ambito artistico sul finire degli anni Venti del Novecento. È il 1928 quando una giovane donna polacca approda a Parigi. Si presenta come Maria Lani e dichiara di essere un’attrice del cinema muto e di aver recitato a Berlino per Max Reinhardt. Il suo nome non compare in alcun cartellone teatrale o cinematografico, ma verosimilmente ha frequentato i corsi del grande regista austriaco, poiché, in un’intervista del 1930, egli rilascia su di lei lusinghiere affermazioni.
Si tratta di una sconosciuta, ma dotata di sicuro charme se, in una Parigi sfavillante, sperimentale, ricca di talenti e di idee, sa, auspice Jean Cocteau, convincere più di cinquanta tra artisti e artiste a ritrarla. Il motivo della richiesta è quasi bizzarro, tuttavia, forse proprio per questo, accolto con entusiasmo. Accompagna l’attrice il “produttore e regista” Maximilian Abramowicz, determinato a girare un Noir: La donna dai cento volti, nel quale il ritratto della protagonista avrebbe preso vita, innescando un turbinio metamorfico dato dall’avvicendarsi sullo schermo, dei ritratti, ciascuno diverso per stile ed esecuzione. In meno di due anni, come rivela Vanity Fair (dicembre 1929), Lani aveva posato per l’elite delle avanguardie europee. Ostaggio di una personalità decisa a mutare il ruolo passivo della modella nel ruolo attivo di personaggio, ogni artista sembra voler rivendicare all'arte il sorriso di Maria Lani. Il film non vedrà mai la luce, ma nel 1930 si apre a Parigi una mostra, supportata da un catalogo, a tiratura limitata, a cura di Jean Cocteau.
L’inconsueta raccolta sarà esposta a Londra, Berlino, Rotterdam e poi a New York e Chicago, cosicché, assieme alle tele, viaggia e si amplifica la leggenda di Maria Lani. A Parigi ogni salotto la reclama, ogni rivista o casa di moda (in primis Coco Chanel) o impresa di profumi la ricerca. Ogni festa o ritrovo o ballo vuole lei, resa più famosa di coloro che l’hanno immortalata.
Nel 1931, Lani e Abramowicz si eclissano da quel mondo, ma rimangono a Parigi ancora per un decennio, nel corso del quale si barcamenano alla meglio, ottenendo anche la cittadinanza francese. Maria Lani era, in verità, Maria Gelenievicz, nata e cresciuta nel quartiere ebraico di Czestochowa, a sud della Polonia, e di mestiere non è un’attrice, ma una stenografa; quanto a Mazimilian Abramowicz, un ebreo russo emigrato in Germania, altri non è se non il marito di Maria. E sin qui: tutto accertato.
Nel 1954 (Maria è appena deceduta), Cocteau, forse per dissidi di natura economica, fa trapelare dal Diario una tesi scabrosa: il piano di entrambi sarebbe stato, sin dall’origine, quello di fuggire con i dipinti per poi venderli. L’argomentazione contiene alcune incongruenze: le liste di controllo mostrano come la collezione, dall’America, torni integra in Europa; le opere avevano solide provenienze e nessuno dei diretti interessati, compreso Cocteau, ha mai denunciato il furto. (Jon Lackman, Art in America, giugno 2014).
Da allora, l’immagine di Maria si copre di infamia.
Solo nel 1941, e non nel 1931, come invece riportato dalla stampa, i coniugi raggiungono gli Stati Uniti e non per uno scopo illecito, ma perché braccati dai nazisti (sarebbe stato possibile fuggire con un carico di 50 tele?). Ottenuto un visto dal consolato portoghese, i due raggiungono Lisbona e quindi New York.
La metropoli infonde loro nuovo linfa: nel 1943, grazie all’apporto di Maximilian Ilyin, (alias Maximilian Abramowicz), Thomas Mann e Nick Bromfield, compare la sceneggiatura del film; non solo, nel dicembre 1945, Life pubblica un articolo volto a tessere le lodi di Maria Lani per il suo impegno come volontaria presso la Stage Door Canteen, ente di sostegno ai militari stranieri.
Maria ritorna alla ribalta, anche perché l’uscita del film (regista Renoir e protagonista Greta Garbo) parrebbe imminente. Ancora una volta, il progetto fallisce tanto che nei primi anni '50 Lani e il marito tornano a Parigi. Ammalatasi di un tumore al cervello, Maria Gelenievicz muore povera, l'11 marzo del 1954. Il suo solo inganno è l’aver ideato un’espediente più creativo che esecrando, nell’intento di avvicinare un ambiente diversamente precluso; il suo merito: aver propiziato un evento unico, tale da offrire uno spaccato della storia artistica, negli anni strepitosi che vedono la sua effimera stella brillare.
In successione, alcuni dei dipinti, tutti eseguiti tra il 1928 e il 1929.