Ecco la quinta puntata della rubrica di approfondimenti sull'arte "La nostra pinacoteca" a cura di Francesca Mellone che vuole rivelare il contributo di alcune artiste nellab storia dell'arte e dell'immaginario estetico.
Il tempo breve di Paula Modersohn Becker
“Ché la capivi tu, la pienezza dei frutti. / Becker/
e così vedevi i bimbi, dall'interno /
spinti nelle forme del loro esistere. /
E vedevi te stessa infine come un frutto…”
Sono versi che Rainer Maria Rilke dedica, alla memoria della pittrice, Paula Modersohn-Becker, cara amica sua e della moglie Clara Westhoff, nota scultrice.
Nella sua davvero breve esistenza, Paula attraversa varie fasi artistiche, sempre all'insegna di un temperamento mobile e innovativo. Ai suoi esordi partecipa per alcuni anni alla comunità artistica di Worpswede, dove ha modo di conoscere, ammirare e infine sposare il pittore Otto Modersohn, al quale sarà legata, benché in maniera discontinua, per tutta la vita. È proprio Modersohn, insieme ad altri noti artisti e alla stessa Westhoff, a concorrere alla sua formazione artistica. Grazie a questo apprendistato, dai paesaggi agresti degli esordi, la pittrice passa alle nature morte e ai ritratti, cui si lega la sua notorietà postuma, dovuta anche al copioso epistolario che ha lasciato.
Senza i ripetuti soggiorni a Parigi, ove frequenta l'Académie Colarossi e ha modo di accostare le opere di van Gogh, senza gli incontri con Cézanne, Rodin e forse con Picasso, che da un dipinto di Paula sembra esser stato influenzato, per superare alcuni problemi formali relativi al ritratto di Gertrude Stein, la pittura di Paula Modersohn-Becker non si sarebbe affrancata dalla dimensione naturalistica di un mondo contadino percepito come puro e incontaminato.
Nei dieci anni di attività che la vita le concede, Paula realizza centinaia di quadri, la cui originalità risiede nella sostanza luminosa delle nature morte,
come anche nello sguardo limpido e nella posa ferma, composta, quasi solenne, dei suoi ritratti e autoritratti.Paula si distingue anche per la sua straordinaria sensibilità nel rappresentare l'infanzia e l'adolescenza.
Il 1905 e il 1906 sono, per molti versi, gli anni più fruttuosi e innovativi: periodo in cui scopre sì i grandi interpreti del post-impressionismo, ma ha anche occasione di visitare, al Louvre, le sale dedicate ai ritratti egiziani del Fayyum.
Dopo la separazione dal marito (al quale tuttavia ritorna) inizia una fase di incessante creatività, cui corrisponde una visione nitida, incisiva dell'oggetto dipinto. La luce, i colori accostati e senza sfumature, le sagome tratteggiate con rapidità mirano a una resa sintetica, spesso frontale e prorompente dell'immagine, memore soprattutto di Gauguin.
Paula è, inoltre, la prima artista, - salvo, forse, il ricorso alle proprie fattezze da parte di Artemisia Gentileschi, in una versione di Susanna e i vecchioni - ad aver messo in scena la propria nudità. Mi riferisco, in particolare, a un autoritratto del 1906: non ancora incinta (lo sarebbe stata di lì a poco), l'artista riprende se stessa gravida, con la sola regione inferiore del corpo vestita da un telo bianco. Poste l'una sopra, l'altra sotto il rigonfiamento del ventre, le grandi mani sottolineano la particolarità del momento. Lo sfondo color tortora assomiglia a un muro picchiettato come se dalla caduta di un intonaco fosse emerso un antico affresco, rimasto miracolosamente intatto.
Sognava un bambino, forse proprio una bambina, Paula, ma certo non immaginava che una delle più grandi gioie della sua vita, la nascita della figlia Mathilde, coincidesse con la propria fine. La morte la coglierà infatti il 21 novembre 1907, a meno di venti giorni dal parto, quando, alzatasi dal letto dove i medici le avevano ingiunto di restare, un embolo la sorprenderà consentendole di articolare solo due parole “Wie schade” (“che peccato”).
In vita, l'artista tiene scrupolosamente nascosti i suoi dipinti, persino al marito, e grande è la sorpresa di tutti, alla sua morte, nel rinvenire settecento quaranta quadri, e un migliaio di disegni, di cui appena tre venduti in vita.
Il Nazismo considererà la sua opera "arte degenerata" e, nel 1937, una settantina di suoi dipinti saranno confiscati ai musei tedeschi e in parte distrutti.