Ecco un nuovo appuntamento con la rubrica di approfondimenti sull'arte La nostra pinacoteca" a cura di Francesca Mellone che vuole rivelare il contributo di alcune artiste nella storia dell'arte e dell'immaginario estetico.
Le mute fisionomie di Helene
Helene Sofia Schierfbeck (Helsinki, 1862 – Saltsjöbaden, 1946)
Non è necessario elencare ogni singolo dettaglio; è l'accenno soltanto che può avvicinarci alla verità. Lettera a Einar Reuter, 1917
Nel 1995, in occasione del primo centenario della Biennale di Venezia, ho avuto modo di osservare dal vivo, ricevendone una impressione indelebile, gli autoritratti eseguiti da Helene Sofia Schjerfbeck. Una sala di Palazzo Grassi era interamente dedicata alla pittrice, celebre in territorio scandinavo, ma ancora poco conosciuta, o meglio dimenticata, altrove.
La sua infanzia è segnata da numerosi lutti e da una improvvisa caduta, all'età di quattro anni, causa la quale rimarrà claudicante per il resto della vita. Non può andare a scuola, ma ha tempo per disegnare, dipingere e sviluppare la sua spiccata predisposizione al disegno, tanto che a soli 11 anni si iscrive alla Società d'Arte Finlandese.
Nel 1876 il padre muore e la situazione economica della famiglia si fa alquanto difficile. Helene riesce, tuttavia, a continuare gli studi, grazie al sostegno dei suoi insegnanti e a una borsa di studio ricevuta nel 1880 dal Senato Imperiale Russo, che le consente di trasferirsi a Parigi. A parte qualche breve soggiorno in Italia, San Pietroburgo, e Vienna, Helene passa gran parte della vita in Finlandia. Problemi di salute la costringono a lasciare l'insegnamento e nel 1902 si trasferisce con la madre Olga in una cittadina a nord di Helsinki. Solo nel 1917, dopo l'inaugurazione della sua prima personale, cui si susseguono molte altre esposizioni, può beneficiare di una condizione economica stabile. L'artista trascorre gli ultimi anni in Svezia, dove approda nel 1944 e dove, nel gennaio del 1946, muore. Il suo stile, mutevole e aperto al nuovo, è stato volta a volta definito: realista, romantico, simbolista, espressionista e, forse non a torto, astratto. Le sue opere sono raffigurazioni della vita semplice: donne intente a lavorare o perse nei propri pensieri.
Ritrae la madre o vicine di casa FIGG. 1 e 2, dipinge il paesaggio circostante e alcune pregevoli nature morte, ma la si conosce, soprattutto in merito ai quaranta autoritratti che ci sono pervenuti: una parabola visiva dove l'artista protocolla il proprio graduale declino fisico.
2 Schjerfbeck 1916
1 Schjerfbeck Mia Madre 1909
L'autoritratto esordisce in Italia agli albori del Rinascimento e rappresenta una delle immagini più insondabili, e persino scabrose, dell'intera vicenda artistica. La natura colloca il nostro volto in una zona cieca allo sguardo, ragion per cui è possibile cogliere le nostre fattezze solo con l'ausilio dello specchio, secondo una percezione cangiante e discontinua. Gli autoritratti di Schjerfbeck sottolineano viceversa una sorta di assiduità dello sguardo tracciando un itinerario di visione simile a un resoconto, insieme psicoanalitico e clinico.
Non a caso, l'elaborazione degli occhi appare diseguale: l'uno aperto e vigile, orientato verso l'esterno, l'altro, inghiottito all'interno e ridotto a un incavo oscuro. Il percorso inscena, al contempo, la parola e il silenzio, come se l'artista, in perpetuo ascolto di una voce giacente nel profondo, non potesse che tradurla in immagini vieppiù sgranate da interstizi carichi di dolore: una parsimonia lancinante che contempla il dileguare di ogni tratto fisionomico nell'assenza.
Di seguito, alcuni dipinti eseguiti in anni segnati dalla solitudine e dall'isolamento
.5 Schjerfbeck 1942
4 Schjerfbeck 1939
3 Schjerfbeck 1915