Ecco la terza puntata della rubrica di approfondimenti sull'arte "La nostra pinacoteca" a cura di Francesca Mellone che vuole rivelare il contributo di alcune artiste nellab storia dell'arte e dell'immaginario estetico.
Erma Bossi (Pola 1875 - Milano 1952)
Erma Bossi più che un’esponente delle avanguardie la si può definire modernista, ma intrattenne un rapporto di amicizia e collaborazione con i membri di Der Blaue Riter, soprattutto con Wassily Kandinscky e Gabriele Munter spesso soggiornando nella loro casa di Murnau. La sua esistenza è costellata di fatti singolari, a cominciare dalla data di morte che rimane incerta; altrettanto singolare è il modo in cui il suo nome ha riottenuto l’onore delle cronache: nelle raccolte dello Schlossmuseum di Murnau, fu rinvenuto un olio del 1912 che raffigura un uomo e una donna, seduti a un tavolo di cucina. assorti in una fitta conversazione.
L’autrice del quadro, dal titolo Kandinsky ed Erma Bossi, è Gabriele Munter. Grazie a tale fortuito ritrovamento, si sono avviate le ricerche sull’identità della misteriosa conversatrice, rivelatasi essere una pittrice di talento. Le sue opere sono, in larga parte, andate distrutte durante le due guerre mondiali, ma la personalità dell’artista emerge definita dai dipinti rimasti integri. C’è in questo ritrovamento qualcosa di struggente: un dono dilazionato nel tempo di una pittrice a un’altra pittrice attraverso un’istantanea di vita domestica in seno a un gruppo di intellettuali che, tra i primi anni e metà del secondo decennio del Novecento, hanno concorso al radicale rinnovamento dei codici figurativi.
Erma Bossi, nome d’arte di Erminia Bosich, nasce a Pola nel 1875 da famiglia triestina. A Trieste frequenta con profitto il Civico Liceo Femminile. Ancora giovanissima manifesta una inclinazione artistica che si svilupperà con profitto nell'ambito del Circolo Artistico triestino.
Trasferitasi in Baviera 1904, pare certo che a Monaco abbia seguito i corsi dell’Accademia femminile delle artiste, sorta con l’intento di agevolare le giovani artiste, anche grazie all’allestimento di mostre, con assegnazione di premi e borse di studio. Nel 1908 incontra Gabriele Münter, Vassily Kandinsky, Marianne Werefkin, Alexey Jawlensky e altri artisti fondatori della Neue Künstlervereinigung München (NKVM). Lo testimonia il ritratto di Marianne Werefkin che Erma Bossi dipinge attorno a quegli anni (ca 1l 1910) L’accostamento dei colori (il grigio dello sfondo. Il nero, il rosa, l’ocra e l'azzurro) in tonalità basse e contenute entro linee precise, appare armonico, eppure inedito; il rosa soprattutto assume quasi una valenza psicologica, in grado di evocare un’aura di ineguagliabile e ricercata eleganza.
Dal 1910 al 1912, Erma espone con gli artisti della Nuova Associazione, ma già dal 1910 vive tra Murnau e Parigi, dove. grazie agli inviti ricevuti dal Salon des Indépendents e dal Salond’Automne, entra in contatto con le avanguardie dell’espressionismo francese.
Il ricorso a un linguaggio marcatamente espressivo, teso a scarnificare gli oggetti e a intensificare l’uso del colore puro, ottenuto con l’impiego della spatola, le procura stima e consenso nell’ambiente.
Di temperamento nomade e curioso, in quegli stessi anni, Erma frequenta, altresì, Milano, dove, allo scoppio della Grande Guerra si trasferisce definitivamente e dove parrebbe aver sposato il tenore Carlo Barrerra, poiché, in alcuni dipinti collocabili tra il 1911 e il 1920, compare la firma Erma Barrera Bossi. A Milano, pur mantenendo vivi i contatti con Monaco, aderisce al Gruppo Novecento, fondato nel 1922, da Margherita Sarfatti. Alcuni suoi dipinti compaiono alla Permanente di Milano, in occasione delle storiche Mostre del Novecento Italiano (1926 e 1929) in un clima di “ritorno all’ordine” cui l’artista si allinea: sorvegliato il tratto, spento il colore, le sue tele perdono il loro coefficiente espressivo
Dal ’29 al ’39, l’artista esporrà alle mostre d’arte del Sindacato Regionale Fascista delle Belle Arti e, saltuariamente, alle mostre del Sindacato Provinciale. Inoltre, Erma Bossi fu una delle poche donne a partecipare alle Biennali di Venezia del 1930 e del 1935.
All’apice del successo, scompare. La si ritrova, dieci anni dopo, in miseria, abitare all’ultimo piano di uno stabile in piazzetta Sant’Erasmo a Milano.
Muore nel 1952 all’Istituto Assistenziale Cattolico di Cesano Bosco.