di Annarosa Buttarelli, articolo pubblicato domenica 26 Novembre su Lo Specchio de La Stampa
Tra i molti dualismi che confondono la nostra epoca vi è lo stupefacente lavorìo intorno al tema della natalità e, dirimpetto, quello della strage di bambini e bambine a causa delle guerre in corso. Se ci si riflette, ci si accorge della assoluta mancanza di logica e di razionalità che si alligna nel travaglio contemporaneo, nel quale, mai come oggi, assistiamo alla progressiva pericolosa evanescenza del pensiero.
Mentre si nega lo ius soli ai nati in Italia, mentre si proibisce l’ottenimento della cittadinanza agli innocenti concepiti all’estero in modi non consentiti in Italia, mentre non si fa nulla per sostenere e abbreviare i processi di adozione, a destra e a sinistra, gli stessi e le stesse che si stracciano le vesti perché ci sono troppi figli unici, discettano a tavolino di quanti figli le donne italiane dovrebbero dare alla patria per far risalire l’indice della natalità. Per di più, vicinissimo a noi, si assassinano migliaia di bambini, di bambine e di donne che, forse, sarebbero state tra le nuove migranti che fuggono dalle stragi.
Si vogliono più figli per poi mandarli a morire, o per spingerli all’estero a vivere, dato il disastro dell’economia e dell’università italiane? Ma chi, sano di mente, potrebbe mettere il piede in due scarpe così? E tutti sembrano scordare che i figli li fanno le donne alle quali non si chiede il parere. Più nati e più morti, sembrerebbe descrivere così il futuro una simile mancanza di logica, una simile mentalità raccapricciante. L’alternativa?
Forse ce n’è più di una, ma la più solida sembra essere quella data nel 1974 da Françoise D’Aubonne, iniziatrice dell’ecofemminismo, racchiudendola nel titolo del suo libro: Il femminismo o la morte. Stiamo già sfiorando la necessità di scegliere ma, se si dovrà, bisognerà dichiarare quale sarà la scelta fatta in nome del futuro.
Ecco un’altra spensieratezza diventata insopportabile: la mania di continuare a proiettare nel futuro ciò che si deve fare adesso, nel presente. Ecco perché, anche a questo proposito, o si accoglierà il pensiero delle donne oppure avrà ragione la D’Aubonne.
Scrive Carla Lonzi “Non esiste la meta, esiste il presente. Noi donne siamo il passato oscuro del mondo, noi realizziamo il presente”.
Scrive María Zambrano “Noi crediamo non nel futuro bensì nel presente, perché solo la fede nel presente ci può dare quella nel futuro.”
Sul piano storico, questa determinazione a stare, pensare, agire nel presente significa anche trovare il modo di salvarlo, di custodirlo. Brevemente: si tratta di curare e di custodire la vita che vi scorre, le conseguenze attuali delle azioni e il loro protrarsi nel futuro. “Credere nel presente”, “realizzarlo” vuol dire anche non creare una cesura tra un futuro inesistente e, per giunta, già ipotecato con i progetti dati in pasto alla gente per distrarla. Da che cosa? Dalla distruzione della vita quotidiana, fisica e psichica, la distruzione che si fa adesso nel presente. Tutte le azioni di chi fa la Storia (non sono mai state le donne) sono state imposte in nome di un fantomatico futuro. Le sorti “magnifiche e progressive” oggi vanno a finire nel sangue versato dagli innocenti che, nel futuro, non ci saranno più; e non ci saranno più nemmeno le madri che potrebbero mettere al mondo altre vite umane. Perciò occorre assumere un modo di pensare veramente nuovo, una logica materiale con i piedi nel presente, custodito e curato a dovere. Se ci può essere un futuro, ci sarà se le donne si concederanno di acquisire sempre più conoscenza, coraggio ed amore, in compagnia di uomini rinnovati, “ma per lo meno che non ci ammazzino!”, scriveva la filosofa spagnola nel 1928. E ancora, nello stesso anno, lasciava questa eredità: “Ora la donna si concede un nuovo lusso, più ricercato ed essenzialmente lussuoso rispetto a qualsiasi gioiello. È giunto il momento in cui la donna, seguendo la sua tradizione aristocratica, acquisisca il supremo perfezionamento della conoscenza, del libero esercizio del cervello? Questa sarebbe sicuramente la cosa meno domestica, ma la più femminile.”