Quando abbiamo dimenticato che il ricorso all'aborto è un problema degli uomini?
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Quando abbiamo dimenticato che il ricorso all'aborto è un problema degli uomini?

di Annarosa Buttarelli, articolo pubblicato su Lo Specchio de La Stampa 19 Maggio 2024

Esistono formule che rendono irreversibile il cammino dell'umanità, in certi suoi campi di espressione. Una di queste è “autodeterminazione delle donne”. Non è pari alla reversibilissima “autodeterminazione dei popoli”, violata fino all'impensabile. Con trasmissioni televisive sull'aborto in cui parlano solo uomini, con la tentata invasione dei consultori da parte del pro-vita, con il revanscismo misogino qua e là in Europa (Italia compresa) e in alcuni stati degli USA, sotto varie forme, si assiste al tentativo di aggredire questo presidio irreversibile che il “soggetto imprevisto” le femministe delle origini hanno guadagnato nel corso della rivoluzione delle donne.

Si vede fare un macabro balletto (Totentanz) intorno alla drammatica esperienza dell'aborto terapeutico o per gravidanza indesiderata, sempre più diffusa in età minore, fingendo di non sapere che la richiesta d'abortire è nata ed è protetta tuttora dall'autodeterminazione delle donne. Si balla volgarmente ricorrendo alla scusa della denatalità o della difesa della vita. Una morale davvero schizoide, come è schizoide l'ambiente neoliberista in cui si trova congelato il mondo: da un lato si sostengono e si fanno volentieri le guerre che sterminano donne, bambini, bambine e giovani, dall'altro ci si batte il petto perché nascono pochi esseri umani; da un lato si vorrebbe costringere le donne, con quel dannato “politicamente corretto”, a dare figli allo Stato, dall'altro non si fa nulla per concedere ius soli a chi nasce in Italia, anche se da genitori stranieri. Forse si è ancora in cerca di promuovere la purezza della “razza”? Questa schizofrenia che manipola il discorso pubblico andrebbe affrontata con più decisione rammentando un gesto definitivo di Carla Lonzi, la quale accompagna l'autodeterminazione, relativa alla propria unità psicofisica inviolabile, con queste parole: “Noi non diamo figli ad alcuno, né all'uomo né allo Stato. Li diamo a loro stessi e restituiamo noi a noi stesse.”

Ci stiamo forse dimenticando che il ricorso all'aborto (in determinate condizioni, con precisi limiti) è un problema degli uomini? Purtroppo, questa esperienza, come molte altre, ci si è abituati socialmente a vederla scaricata sulle donne: durante un coito indesiderato, nell'angoscia di una gravidanza conseguente, nella traumatica fase della richiesta di abortire, nella ricerca estenuante di medici che applichino la legge dello Stato che li accoglie nelle strutture pubbliche, nel periodo successivo in cui il doppio trauma (gravidanza indesiderata e aborto) inquieta notti e giorni delle donne. L'inciviltà con cui molti uomini abusano del corpo fecondo delle donne, dovrebbe indurre a chiedersi: “Per il piacere di chi sono rimasta incinta? Per il piacere di chi sto abortendo?” Mentre ci si straccia giustamente le vesti per gli stupri di guerra, perché mai non si impone un massiccio lavoro di inculturazione del “genere” maschile quando abusa e stupra in momenti di pace? L'inculturazione mancata dei maschi riguardo al rispetto dell'inviolabile corpo fecondo delle donne fa attrito con la riuscita de-culturizzazione patriarcale delle donne che si sono assestate nell'autodeterminazione. Sta ai maschi trovarsi all'altezza del coraggio femminile. Facciamoci aiutare a riflettere ancora una volta da Carla Lonzi: “Proviamo a pensare una civiltà in cui la libera sessualità non si configuri come l'apoteosi del libero aborto e dei contraccettivi adottati dalle donne… In tale civiltà apparirebbe chiaro che i contraccettivi spettano a chi intendesse usufruire della sessualità di tipo procreativo, e che l'aborto non è mai una soluzione per la donna libera.” Perché è dovuto sempre a una violenza che lo precede. Da questa lucidità noi donne non torniamo indietro.




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