Continua la guerra quotidiana che nessuno chiama tale. È la guerra sui corpi inermi di donne (anziane, giovani, giovanissime), con i suoi bollettini di morte, ferite, sopravvissute (che vanno ad alimentare in notevole proporzione il numero delle “persone portatrici di handicap”).
Una guerra che trascina anche con sé le vite di bambine e bambini orfani, segnati a vita e lasciati senza sostentamento. Una guerra per la quale non si prospetta nemmeno la pace, l’armistizio, il cessate il fuoco, ma solo pene più severe. Si piangono e si contano le “cadute”, si hanno reazioni emotive, moti di indignazione ma la guerra continua immutata; anzi, si rinnova nell’età sempre più giovane delle vittime e dei loro carnefici (formati nella visione della pornografia più sadica in cui le donne sono sempre lì pronte e felici di esaudire le fantasie più perverse degli uomini). In questa guerra variano magari le armi: dalla pistola al coltello alla pietra alle mani nude, in una sorta di macabra regressione di quegli “strumenti contundenti” di cui si è dotata “la civiltà”.