di Annarosa Buttarelli*
Nel lontano (vicino) 1928 María Zambrano preparava la sua trasformazione della filosofia europea scrivendo articoli per le donne su “El liberal”. In questi articoli si rivela essere una delle prime radicali pensatrici della differenza sessuale, e in questi stessi articoli definisce “aristocrazia” la società delle donne che, in virtù della loro forza, potranno riscrivere il futuro del lavoro, della società, della cultura.
Potremmo dire che anche oggi la riscrittura di questi tre ambiti della convivenza e della nuova civiltà sono alla portata delle capacità “aristocratiche” di noi donne e del nostro amore per il mondo. Molti e molte non riconoscono in Zambrano una pensatrice femminista perché più volte ha dichiarato «Non sono femminista, sono femminile». Nel modo che aveva a disposizione a quel tempo, con molto acume respingeva il femminismo perché allora lo si conosceva solo come vittimista e rivendicativo. Solo nel 1938 sarà pubblicato il manifesto di Virginia Woolf Le tre ghinee. La filosofa spagnola aveva la vista lunga e la sensibilità acuita dalle sue ricerche intorno all’assumersi radicalmente l’essere donna.
Aveva ragione. Gli effetti del puro emanciparsi, dell’appellarsi unicamente alla parità hanno portato alla continua puntigliosa rivendicazione di quello che io chiamo femminismo diffuso o generico: avere posti di potere in quanto donne, essere consapevoli degli abusi maschili. Ormai lo sanno anche le bambine che non basta essere biologicamente donne per essere donne “aristocratiche”, cioè pensanti nell’ordine simbolico della madre.
Infatti, giustamente, oggi ci troviamo nella necessità di interrogare di nuovo la forza delle donne.
Forse la intravvediamo con certezza, ancora una volta, nei luoghi estremi, dove c’è la guerra, le dittature, gli abusi, le violenze, i femminicidi, tutti disastri che non le fermano dall’andarsene via dai compagni crudeli. Oggi, la forza sembra ben più in difficoltà dalle nostre parti, luoghi di privilegio, luoghi dove esiste il femminismo di Stato, dove è stato infranto il noioso soffitto di cristallo, dove imperversa il gender, dove non è raro che i femminismi si dividano cocciutamente tra loro. Già sarebbe sufficiente riflettere su questo spreco di non riuscire a confliggere in modo produttivo tra posizioni all’interno del femminismo italiano, per renderci conto di quanto si sia indebolita la forza su cui ha contato felicemente il movimento politico delle donne, fin quando è esistito in Italia e fin quando si faceva nutrire dal lavoro congiunto riguardante il cambio di ordine simbolico.
Il fatto è che la forza delle donne agisce soprattutto attraverso la parola, come ha sottolineato più volte Lia Cigarini durante l’ultima redazione allargata di VD. I tagli simbolici fatti dalla politica delle donne sono stati decisivi e lo sarebbero ancora di più ora, in un momento storico in cui la parola è passata ancora una volta, inaspettatamente, a chi decide guerre e mainstream, la corrente popolar-populista che veicola (soprattutto attraverso i social) i contenuti che poi diventano leggi, decisioni ad alto livello gerarchico, cambi di passo dell’economia. Le stagioni di Via Dogana cartacea hanno avuto voce in capitolo proprio perché ogni numero operava un taglio simbolico. Ma non è mai bastata solo l’egemonia della parola, i tagli simbolici si fanno anche con un agire fatto di gesti inaspettati e dirompenti come quello di Nancy Pelosi che straccia davanti alle telecamere i fogli del discorso che stava facendo Trump. Ci si sarebbe aspettate qualcosa di simile da parte della deludente Kamala Harris.
Così le due zelanti e impaurite leader di Finlandia e Svezia, dichiaratamente femministe, fanno un taglio simbolico all’incontrario chiedendo di aderire alla Nato: fanno un vulnus al presidio pacifista che le donne di tutto il mondo tentano di tenere saldo. Ma perché questa solidità non è efficace? Secondo me, non lo è perché priva di tagli simbolici, di parole e di gesti materiali che squarcino la densa cortina del mainstream. E poi manca la costatazione che non c’è forza senza il terreno su cui nasce: il desiderio. La fonte necessaria ad alimentare qualsiasi agire in cui serve coraggio, determinazione, intelligenza del presente, mente fuoriuscita dal seduttivo paradigma binario, dicotomico. Di fronte alla potenza d’urto di questo paradigma, rinforzatosi con le solitudini regalate dalla pandemia e con la successiva occupazione dell’attenzione da parte dell’adesione di vertice alla guerrafondaia Nato, si è rivelato a occhio nudo il depotenziamento del desiderio femminile generale e dunque anche della forza femminile che serve per aprire conflitti simbolici e reali, e per condurli fino a ottenere la trasformazione desiderata.
Cosa è accaduto? A me pare che abbia ragione María Zambrano quando diffida del femminismo europeo generico che, al massimo e in contingenze drammatiche, può solo ritrarsi sulla soglia della resistenza. Fondare la propria intelligenza sulla rivendicazione conduce alla fine del desiderio, alla sospensione dell’invenzione politica. Se poi rammentiamo che il desiderio e la forza si generano e si alimentano nelle relazioni, specialmente tra noi donne deboli in narcisismo, possiamo comprendere quanto sia letale l’affievolirsi o il distruggersi delle relazioni, tanto più quando i vari gruppi coltivano senza alcuna potenza generativa il proprio orticello.
Nel presente è riservata una sorte diversa a chi tra di noi basa le relazioni e il lavoro politico sull’autorità femminile, la vera e unica possibilità per agire che rimane in un mondo che corre verso l’abisso. Nel pieno del mio impegno quotidiano in molti diversi contesti di vita e di lavoro posso osservare quanto la mia forza si nutra del desiderio di dare voce e gesti, attraverso la mia voce e i miei gesti, all’autorità “aristocratica” femminile. Se io desiderassi solamente la mia personale affermazione o mi illudessi dell’efficacia della persuasione pedagogica argomentativa, e non mi facessi forza delle relazioni in cui sono immersa fiduciosamente, avrei perso forza e desiderio da molto tempo. L’autorità femminile è difficile da assumere, ci dobbiamo rendere conto di questo, perché per assumerla (se ci è riconosciuta) occorre avere la mente trasformata in modo da poter creare tagli simbolici. Perciò sono super necessari momenti di formazione e di trasformazione, altrimenti le giovani generazioni di donne sapranno forse difendersi dalle violenze maschili o da quelle delle loro simili collaborazioniste, ma non avranno la possibilità di accedere al privilegio dell’aristocratica autorità femminile.
*direttrice scientifica della Scuola di Alta Formazione Donne di Governo