Sarantis Thanopulos/Annarosa Buttarelli. Tratto da "Il Manifesto", 13 Marzo 2021
Sarantis Thanopulos: “Cara Annarosa, nei giorni scorsi si è festeggiato l’8 Marzo. In modo surreale, senza cortei e senza il sentore delle mimose (la loro foto è circolata in rete animando il nostro desiderio di un po’ di profumo di vita). La ricorrenza rituale non crea, cancella la realtà. Associo da sempre dentro di me l’8 Marzo con il 25 Aprile e con il 1 Maggio. Ciò che è celebrato non è solo un valore, ma anche la gioia di vivere, il sentirsi libere/i, il desiderio di essere padroni del proprio destino. Non c’è nulla da festeggiare se lo stato d’animo non è festoso, se non è espressione del piacere di incontrarci, vederci, parlarci. Le platee digitali svuotano la vita esattamente come i grandi raduni delle masse nei regimi totalitari.
Quando la festa non può esserci, il suo posto possono prenderlo la retorica consolatoria e mistificante o l’isolamento in se stessi e la depressione/inerzia. È giusto, invece, che lo prenda il lutto di ciò che si è perso. Per mantenerlo vivo dentro di noi in attesa di forme nuove in cui possa rivivere insieme identico e diverso. Così lo scorrimento della vita nel mostro mondo interno non si interrompe. Non siamo tanto consapevoli del danno che lo stato di emergenza continua stia causando non solo alle donne (molto più penalizzate degli uomini, questo è fin troppo evidente), ma più in generale alla parte femminile di tutti. L’emergenza reale favorisce l’emergenza psichica, uno stato d’allarme permanente e solo in piccola parte manifesto, a cui nessuno può sottrarsi, che trova il suo sbocco privilegiato in un modo di agire maschile al tempo stesso schematico e opportunista, privo di coerenza e lungimiranza. È in grande difficoltà dentro di noi la capacità femminile di sedimentare le emozioni, senza scaricarle in azioni impulsive, di gestire la solitudine, di dare significato al dolore. Senza questa capacita tutto resterà com’è, altro che “nulla tornerà come prima.”
Annarosa Buttarelli: “Caro Sarantis, da tempo cerco, cerchiamo in parecchie, di avere una relazione leggera con l’8 marzo che però sta a cuore a molte donne. Forse è uno dei pochi momenti in cui tutti i femminismi, ma anche semplicemente gruppi di amiche, riescono a ritrovarsi festosamente in una realtà che mette in difficoltà anche il movimento delle donne. Tra tutte le celebrazioni forse l’8 marzo è l’unica che mi viene in mente come un’occasione da salvare, ma certo non come viene intesa ultimamente, cioè ancora come denuncia delle violenze che subiamo, come se non bastasse la data del 25 novembre, dedicata alla lotta contro i femminicidi. In realtà ci sarebbe da festeggiare il fatto che la particolare forma di libertà delle donne sta avanzando, ha già cambiato il mondo e cambierà ancora molte cose. Ma l’emergenza femminicidi e tutte le altre emergenze che segnali tu, quest’anno hanno reso triste anche l’8 marzo, perché ha prevalso l’angoscia e la preoccupazione. Si tratta di tensioni psichiche che, per quanto posso capire, non riguardano solo la pandemia con ciò che ne consegue, sia sul piano della rottura ulteriore dei legami sociali, sia sul piano del disastro nell’economia reale e nel lavoro. Mi pare che la drammatica tensione che sta afferrando molte di noi sia dovuta al duro attacco misogino alle donne, in tutto il mondo. Sembra proprio che l’attacco sia molto serio se perfino qualche uomo qua e là in Italia ha usato l’8 marzo per manifestare in alcune piazze l’assunzione di “genere” della responsabilità della violenza verso noi donne. Bene. È un segnale buono. Ma è come la mimosa virtuale o reale che in quel giorno viene offerta alle più vicine. Ecco perché l’8 marzo può diventare, invece che un’occasione di festa per il paziente cammino femminile, un’occasione di retorica consolatoria per donne ma anche per uomini. Se c’è un momento per prendere posizione in favore di un cambio di civiltà, il momento è questo, in fretta, senza più esitazioni buoniste”
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